«La Cena delle Anime»: Maria Laura Berlinguer racconta il suo Sud magico, profondo e femminile

Domenica 31 Agosto 2025, 07:00
Nel romanzo si avverte il respiro del tempo e delle generazioni. Cosa l’ha spinta a raccontare una storia sospesa tra passato e presente?
«La memoria è il punto di partenza. Esiste una memoria individuale, legata alla famiglia, e una più collettiva, storica. Mi interessava intrecciare questi due livelli. Sono convinta che la memoria, se non viene soffocata, possa convivere con la storia e diventare racconto. Ho voluto fare questo: recuperare storie personali che si incrociano con i grandi eventi».La Sardegna che descrive è antica, quasi magica, ma anche cruda e concreta. Che legame ha con questa terra e quanto ha influenzato il romanzo?
«Fortissimo. La Sardegna non è solo mare e cibo. Come la Puglia, è una terra di contrasti, di storie profonde, di eredità culturali dimenticate. Volevo restituire quella Sardegna fatta di studiosi, donne forti, di tradizioni antiche e spesso dimenticate».Iride, la protagonista, torna a casa dopo anni e scopre segreti di famiglia sepolti. Perché, secondo lei, le verità familiari fanno così paura?
«Perché possono condizionare. C'è un'intera branca della psicologia che si occupa di questo: la psicogenealogia. I segreti familiari generano silenzi, fantasmi, cripte. E noi, senza saperlo, ne portiamo il peso. Scavare nella memoria può liberarci, permetterci di conoscere davvero chi siamo».Nel romanzo convivono spiritualità, storia, psicologia e mistero. Come ha lavorato sull’equilibrio tra questi elementi senza appesantire la trama?
«Con leggerezza. Non volevo scrivere un saggio, ma raccontare. La leggerezza non è superficialità: è uno stile. Volevo che tutti potessero leggere il mio romanzo, anche chi non conosce la Sardegna, e innamorarsene anche attraverso i sensi: le regioni del Sud non si possono raccontare senza i sensi. Il rumore del vento tra gli ulivi, il profumo della terra, il sapore dei piatti. Tutto è narrazione».Il passato qui non è solo ambientazione, ma anche un personaggio. Per lei scrivere questa storia è stato anche un viaggio nella sua memoria personale?
«Senza dubbio. Il mio bisnonno era archeologo e collezionista. Mi ha trasmesso il gusto per la scoperta. Alcuni reperti che ha donato al Museo Sanna mi hanno ispirato. Le sue storie, raccontate da mio nonno, mi hanno accompagnata nella scrittura ed è stato anche un modo per ritrovare quelle radici perse nei meandri del tempo».C'è un forte richiamo all'identità e all'eredità invisibile. Iride eredita molto più di una casa. Era questo il messaggio?
«Esatto. L'eredità vera non è materiale. È fatta di valori, di consapevolezze, di domande irrisolte. Iride, scoprendo la verità, trova se stessa. Ed è un messaggio positivo: conoscere il proprio passato serve a costruire un futuro più autentico».Se potesse sedersi davvero alla cena delle anime, quale personaggio della sua storia o della sua vita vorrebbe rivedere per una notte?
«Sicuramente Tata, la guaritrice. Quelle donne esistevano davvero. Erano figure di riferimento, capaci di curare non solo i corpi ma anche le anime. Della mia vita personale invece, vorrei rivedere il mio bisnonno. Mi piacerebbe sapere come ha fatto, cosa pensava. La sua curiosità ha acceso la mia».TROVA NEWS INTORNO A TE
La Gazzetta del Mezzogiorno